Il Concilio ecumenico Vaticano II è una delle fonti di ispirazione primarie di Forma Ecclesia. Forse non l’unica ma sicuramente una delle fonti irrinunciabili. Il blog è partito a poco meno di un anno dal sessantesimo anniversario dell’apertura del Concilio stesso, mentre circa due anni e mezzo ci separano dall’altro sessantesimo: quello della chiusura del Vaticano II. Tre anni e due mesi in cui la Chiesa si confrontò, per imprimere poi cambiamenti radicali senza precedenti. Sotto alcuni aspetti, la Chiesa è cambiata molto più durante e dopo il Concilio Vaticano II di quanto non sia cambiata nell’arco di cinque secoli dall’altra grande assise conciliare, quella forse più studiata nei libri di storia: il Concilio Tridentino.
Tre anni e due mesi: un tempo sufficiente per lo svolgimento di un processo così epocale. Un tempo insufficiente, però, per ricavarne un’interpretazione esauriente, non fuorviata da pregiudizi o luoghi comuni. Prima ancora di offrire un approccio storico-critico, proveremo allora a suggerire un approccio metodologico, un ABC di cosa sia un Concilio, con le opportune definizioni impossibili da equivocare.
Un Concilio implica innanzitutto la partecipazione di tutti i vescovi alla progettualità in rapporto alla verità, alla dottrina e anche alla vita della Chiesa. I concili nascono già nel IV Secolo e alcuni di essi erano detti ecumenici, in quanto radunavano tutto l’episcopato allora presente sulla faccia della Terra, proprio per focalizzare le piste teologiche che si stavano espletando. Erano assemblee in conformità con la rivelazione e con la tradizione apostolica.
Nessun Concilio, dunque, ha mai inventato nulla, il suo scopo è semplicemente quello di portare alla luce le varie tesi. Ci sono tesi che sono prettamente teologiche ma sempre conformi alla Rivelazione o alla dottrina degli apostoli? Un Concilio riporta allora alla dimensione di quella verità che ci viene dalla Rivelazione e dalla Tradizione. Un Concilio è frutto della Sapienza dello Spirito.

Che differenza c’è, allora, tra un Concilio e un Sinodo? Il Concilio concerne la comunione dei vescovi in rapporto alla dottrina, alla pastorale e alla disciplina. La sinodalità, invece, secondo un’ermeneutica contemporanea, va molto più in là della dimensione della conciliarità, in quanto non chiama in causa soltanto i vescovi ma il coinvolgimento dell’intero popolo di Dio, chiamato a fornire indicazioni su come essere nel mondo lievito del Vangelo di Cristo Gesù.
Si noti che San Giovanni XXIII, al momento di convocare il Concilio Vaticano II, non lo definì “ecumenico”, bensì “universale”. L’oicumene evoca tutta la presenza della dimensione cristiana che è nel mondo. Il Papa voleva che tutta la cristianità, in un certo senso, diventasse presente o perlomeno assistesse a quella novità, a quella intuizione. Il Concilio è ecumenico perché vi partecipano davvero tutti: cattolici, protestanti, ortodossi, laici, donne.
Il Concilio Vaticano I (1870), svoltosi sotto Pio IX ed interrotto dalla breccia di Porta Pia, aveva una grande progettualità, che non si limitava soltanto al discorso della infallibilità, del magistero pontificio ma conteneva tutto il discorso cristologico ed ecclesiologico sulla Chiesa, corpo mistico di Cristo.
L’indicazione di Giovanni XXIII era stata quella di concludere il Concilio Vaticano I. Papa Roncalli si fece portare, infatti, le regole del Concilio Vaticano I e non le trovò adatte per il nuovo Concilio. Per questo motivo non volle dare alcuna definizione.
Volle però che Concilio fosse pastorale, cioè, prendesse la dimensione dottrinale tramandata, per valutare come la Chiesa fosse capace di tradurla nella pratica. Per cui, nella prima omelia, Gaudium Mater Ecclesiae del 1962, il Papa pregava che la Chiesa potesse essere colei che è presente nel mondo, ma “non è il che mondo deve aver bisogno della Chiesa”, dice Papa Giovanni, perché “è la Chiesa che ha bisogno del mondo”, perché la sua missione possa essere nel mondo ma non del mondo. Come disse Gesù, “Io non sono venuto per condannare ma per salvare”. La tesi di Giovanni sta in questo: la dimensione dialogica, il senso dell’attenzione alla fatica dell’uomo – si prenda, a riguardo, il proemio della Gaudium spes – le gioie, le sofferenze, i drammi di ogni singolo uomo sono le sofferenze, i drammi e le gioie della Chiesa intera. Quindi, con il Vaticano II, avviene il superamento di quella che era la concezione antimodernista dell’Ottocento. In ciò entrava anche la concezione della condanna dell’errore, cercando però di capire l’errante perché, nella gerarchia delle verità, si ritrova la sinergia del rapporto vero nei confronti della potenza di Dio e dell’uomo.
LMl