Quando si parla di abusi sessuali nella Chiesa, parliamo di un fenomeno che, con l’aiuto di Dio, un giorno (non sappiamo quando) avrà fine. Difficile anche individuare un periodo approssimativo di riferimento rispetto al quale questa piaga possa aver preso forma. Anche nella misura in cui i primi scandali sono venuti allo scoperto, è arduo indicare un anno spartiacque. In Irlanda, ad esempio, i primi casi emersero a metà degli anni ’90, e l’isola britannica è considerata un caso paradigmatico di come la corruzione occulta dei costumi possa erodere alle radici anche le chiese nazionali apparentemente più solide e con più vocazioni.

Per convenzione, comunque, si tende ad indicare quale punto di svolta della questione il drammatico ed epocale caso dell’arcidiocesi di Boston, una delle più ricche e strutturate di tutto il Nord America. È da quel momento che il topos del “prete pedofilo” inizierà a prendere forma in modo indelebile nell’immaginario internazionale. Il giorno dell’Epifania del 2002, infatti, il Boston Globe pubblicava la storia di John Geoghan, un prete “spretato”, accusato di aver molestato almeno 130 bambini o ragazzi, nell’arco di circa un trentennio in almeno tre parrocchie. Fu solo l’inizio di uno stillicidio, che, a poco a poco, avrebbe rivelato l’esistenza nell’arcidiocesi di Boston di almeno 200 sacerdoti (sui 1500 totali) sospettati di atti criminali ai danni di minori.

Soltanto per citare le altre diocesi più importanti, nell’arcidiocesi di Los Angeles si sono registrate 508 vittime e 113 preti coinvolti, mentre quella di Chicago ha patteggiato di versare altri 12,6 milioni di dollari in risarcimento delle vittime degli abusi sessuali commessi da parte di 10 sacerdoti a 15 vittime. Nel 2018 l’arcidiocesi di Saint Paul e Minneapolis ha raggiunto un accordo con 450 vittime di abusi sessuali da parte di membri del clero, per un ammontare di 210.000.000 $; l’accordo è arrivato dopo circa tredici anni di cause, a seguito di una procedura di fallimento richiesta dall’arcidiocesi nel 2015.

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Lo scandalo di Boston rappresentò il più devastante dei dolori per san Giovanni Paolo II (1920-2005), ormai abbondantemente entrato nell’ultimo lustro del suo pontificato e della sua vita. Per Wojtyla, i casi di pedofilia emersi negli USA si rivelarono una croce ancor più pesante della sua stessa malattia, che lo avrebbe condotto alla morte nell’arco di tre anni. Le voci sul marcio che si annidava all’ombra delle sacrestie d’oltreoceano erano filtrate con molta fatica all’interno delle mura leonine. Il clima generale era rimasto per molti anni all’insegna dell’incredulità e dello scetticismo: non può essere vero – si tendeva a pensare – e, soprattutto, non possono essere stati in così tanti. Del resto, le Congregazioni dei Vescovi e del Clero tendevano a smussare gli angoli e a presentare all’anziano pontefice polacco una realtà meno cupa di quella che era. Molti alti prelati ritennero, per anni, che si trattasse di fake news e calunnie messe in giro dai servizi segreti dei Paesi ex comunisti per rovinare la reputazione del clero a livello internazionale.

Il Papa prese per la prima volta posizione nella sua lettera a tutti i sacerdoti del mondo, in occasione del Giovedì Santo, riconoscendo “i peccati di alcuni nostri fratelli che hanno tradito la grazia ricevuta con l’Ordinazione, cedendo anche alle peggiori manifestazioni del mysterium iniquitatis che opera nel mondo”. Purtroppo, i tentativi di minimizzare la questione da parte del cardinale Dario Castrillon Hoyos non fecero altro che esacerbare l’astio nei confronti della Chiesa universale. L’allora prefetto della Congregazione del Clero, infatti, proprio in occasione della presentazione alla stampa della lettera menzionata, aveva cercato di gettare acqua sul fuoco, lasciando intendere che per il Santo Padre, in quel momento, la preoccupazione più grossa era rappresentata dal terrorismo islamico di Al-Qaeda e dalla situazione in Medio Oriente.

Dopo l’emersione di una nuova testimonianza-scandalo, da parte di un altro sacerdote di Boston, Paul Stanley – che aveva fatto addirittura apologia del sesso tra adulti e ragazzi – il cardinale Bernard Francis Law volò a Roma segretamente per farsi ricevere dal Papa e rassegnargli le sue dimissioni da arcivescovo di Boston. Il porporato, almeno inizialmente, fu però convinto a restare in carica, dietro pressioni del nunzio a Washington, monsignor Gabriele Montalvo, che promise a Law la massima collaborazione nel risolvere il problema.

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A seguito della diffusione di un fitto dossier sugli scandali d’oltreoceano, Wojtyla convocò a Roma i cardinali e vescovi statunitensi (compresi quelli operativi nella Curia Romana). In quell’occasione, il Papa si disse “profondamente addolorato per il fatto che sacerdoti e religiosi, la cui vocazione è di aiutare le persone a vivere una vita santa agli occhi di Dio, hanno causato ai giovani tanta sofferenza e scandalo. A causa del grande male fatto da alcuni sacerdoti e religiosi, la Chiesa stessa viene guardata con diffidenza e molti si sentono offesi per come loro appare che abbiano agito i responsabili ecclesiastici in tale questione. L’abuso che ha causato questa crisi è sbagliato secondo ogni criterio ed è giustamente considerato un crimine dalla società; è anche un peccato orrendo agli occhi di Dio. Alle vittime e alle loro famiglie, ovunque si trovino, esprimo il mio profondo senso di solidarietà e sollecitudine”.

Giovanni Paolo II comprese bene che, alla radice del problema, vi erano sia la mancata comprensione – quando non l’aperto dissenso verso il magistero – di molte verità della fede cattolica, a partire dai principi sulla morale sessuale, sia l’inadeguatezza episcopale nel gestire un problema così complesso. “Per un uomo che aveva vissuto nobilmente il proprio sacerdozio, come un continuativo dono di sé, la rivelazione che alcuni confratelli nel sacerdozio avessero profondamente danneggiato i giovani nella Chiesa costituiva una ferita davvero terribile”, scrive George Weigel nel suo volume biografico The End and The Beginning (Double Day Religion, 2010), dedicato agli ultimi anni del papa polacco e alla sua eredità spirituale.

In questa temperie, una delle sfide più grande, per l’ormai 82enne Karol Wojtyla, sorgeva intorno al ruolo del vescovo, di cui lui stesso per più di vent’anni aveva enfatizzato il compito di evangelizzatore, a scapito del ruolo istituzionale e di governo. Il cedimento della seconda funzione avrebbe rischiato di vanificare la seconda. Non c’è alcun dubbio che il pontificato wojtylano si sia chiuso all’insegna del nodo irrisolto degli abusi. Per grazia di Dio, all’interno della Curia, c’era un uomo che aveva saputo guardare a quell’enorme sciagura e scandalo con lungimiranza e rigore. Quell’uomo era il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e il suo nome era Joseph Ratzinger.

LMl.

[continua]

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