Il tempo liturgico dell’Avvento, così come è inteso nella Chiesa di oggi, prende forma a partire dal VII secolo. Nei tre secoli precedenti presupponeva una durata molto più lunga dell’attuale, per l’esattezza 56 giorni, a partire dalla memoria di San Martino (11 novembre), fino all’Epifania (6 gennaio). Nell’arco di questi quasi due mesi, inizialmente, i cristiani digiunavano tre giorni a settimana, poi, il digiuno venne esteso a tutti i giorni feriali, per un totale di 40 giorni, sulla falsariga dei 40 giorni della Quaresima. Questa prassi dei 40 giorni e della festa di san Martino come “porta” dell’Avvento, ha condotto a denominare questo tempo come “Quaresima di San Martino”. La connotazione che tale prassi dava, in modo quasi speculare al tempo liturgico di preparazione precedente la Pasqua – era quello della penitenza, indicata anche dal medesimo colore viola (salvo che nella tradizione ambrosiana). Fu papa San Gregorio Magno a ridurre le domeniche d’Avvento a quattro, per una durata totale dai 22 ai 28 giorni.
L’Avvento, tuttavia, più che alla dimensione penitenziale richiama alla dimensione vigilante. Esso, infatti, vuole ridestare il senso dell’attesa della manifestazione del Signore.
Liturgicamente l’Avvento inizia con i primi Vespri della Prima domenica d’Avvento e si conclude all’ora nona del 24 dicembre. Le letture dell’Avvento sono strutturate secondo questo schema: la I domenica evoca la venuta di Cristo alla fine dei tempi; la II e la III domenica menzionano San Giovanni Battista; la IV domenica parla di quanto avvenuto prima della nascita del Signore. Le prime letture, sia domenicali che feriali, invece, sono tratte soprattutto dal libro di Isaia e, per lo più, evocano le profezie messianiche.

La venuta di Cristo, effettivamente, è triplice. C’è la venuta del Messia nella storia, nella grotta di Betlemme. Ci sarà la sua venuta alla fine dei tempi. C’è infine la venuta del Salvatore nella vita degli uomini, ogni giorno. E la venuta di Cristo nella vita di ognuno è fondamentalmente una chiamata e un incontro personale. L’Avvento è quindi il primo passo che si compie nel cammino verso la santità (non a caso è il tempo che apre il nuovo anno liturgico).
Esso è un cammino che non implica gesti straordinari o memorabili, né eroici. Ci si converte a Cristo, per diventare pienamente uomini. Imitare Cristo è l’unica forma di emulazione di qualcuno finalizzata non a diventare altro da sé ma per diventare se stessi, nel modo in cui Dio ha voluto che ogni singolo uomo sia, nella sua specificità e unicità.
C’è un’altra dimensione, ancor più trascendente, che caratterizza l’Avvento. Come scrisse una volta Joseph Ratzinger, quand’era arcivescovo di Monaco-Frisinga, ci troviamo in un tempo che rappresenta un “intreccio di ricordo e speranza, tanto necessario all’essere umano. Esso vuole risvegliare in noi il vero e più intimo ricordo del cuore, il ricordo del Dio che si è fatto bambino. Questo ricordo è salvezza, questo ricordo è speranza”.
C’è un salto di qualità, in tal senso, che sta nella proiezione di un ricordo impresso nella coscienza spirituale collettiva verso la coscienza spirituale personale. Soltanto in questo modo una tradizione religiosa può rimanere viva, ma perché ciò si verifichi, c’è bisogno di una ritualità e di una liturgia. È proprio per questo che l’Avvento è tempo di novene e di meditazioni speciali. Con l’Avvento si esce dall’ordinario per ripristinare un ordine nella propria vita, una gerarchia di principi, nella quale Dio ha sempre la preminenza sull’uomo, non per sminuire la natura umana ma, piuttosto per realizzarla. Nella menzionata riflessione, Ratzinger aggiungeva: “Ognuno di noi potrebbe raccontare la propria storia sulla falsariga di ciò che significano per la sua vita i ricordi del Natale, della Pasqua o di altre feste. Il compito prezioso dell’Avvento è quello di donarsi reciprocamente ricordi di bene, aprendo così le porte alla speranza”.
Attesa, conversione, speranza: tre aspetti complementari di un tempo di cambiamenti, un tempo che è un ponte verso l’eternità.
