Roma, basilica di San Paolo fuori le Mura, 25 gennaio 1958. Papa Giovanni XXIII, eletto da appena tre mesi, tiene lo storico discorsi ai cardinali della Curia Romana, in cui annuncia la convocazione di un nuovo Concilio. È indubbiamente un momento storico, ma i diretti interessati come lo hanno recepito? È essenziale tracciare intanto il background storico di quell’evento.

La possibilità di una convocazione conciliare aveva iniziato a concretizzarsi già negli anni ’30, sotto Pio XI. Durante il pontificato successivo, poi, fu il cardinale Alfredo Ottaviani a suggerire l’opzione conciliare a Pio XII. L’ipotesi, tuttavia, non si concretizzò più sia a causa della guerra, sia per la questione della Nouvelle Théologie francese, che aveva preso una strada diversa dal neotomismo.

C’è comunque un episodio, nella vita di Angelo Giuseppe Roncalli, che getta una luce particolare sugli sviluppi ecclesiali del decennio successivo. Nella solennità dell’Assunta del 1955, l’allora patriarca di Venezia si era recato nella località natìa, Sotto il Monte, ospite di alcuni parenti. Lì vi aveva incontrato l’allora arcivescovo di Milano, monsignor Giovanni Battista Montini, con cui aveva parlato delle sorti della Chiesa: a testimoniarlo vi è una lapide, fatta collocare dal segretario di Roncalli, monsignor Loris Capovilla, che evoca quell’episodio, sia pure in maniera un po’ sibillina.

Secondo quanto riferisce il teologo triestino Ettore Malnati, nella conversazione tra i due futuri papi, sarebbe emersa la questione dei preti operai. Non un problema da poco per quegli anni, se si tiene conto che alcuni movimenti operai – compresi quelli a cui prendeva parte un certo clero – erano sovversivi e violenti. Ai tempi, infatti, Montini era chiamato il “vescovo rosso”: oltre a celebrare messa nelle fabbriche, si confrontava costantemente con i rappresentanti della classe operaia. E Roncalli volle approfittare di quella illustre visita per saperne di più sulla questione. L’altro tema al centro della discussione fu la riforma della Chiesa.

Dopo l’enciclica Mediator Dei di Pio XII si era interrotto il percorso di avvicinamento con i teologi della già menzionata Nouvelle Théologie: si trattava soprattutto di gesuiti e domenicani che insegnavano a Lione, ai quali addirittura era stata impedita la docenza. Roncalli, che era stato nunzio a Parigi dal 1944 al 1953, conosceva bene le difficoltà della Chiesa francese dell’epoca. Lui stesso, da storico e studioso del Concilio di Trento, specie nella sua applicazione da parte di San Carlo Borromeo, affermò che forse sarebbe stato opportuno avere quel coraggio che era mancato a Pio XI nell’indire un nuovo Concilio.

Roncalli e Montini, dunque, tramite sensibilità e percorsi intellettuali differenti, avevano colto alcuni rilevanti segni dell’inquietudine della Chiesa degli anni ’50. Un’esigenza di rinnovamento che partiva dal basso e che stava crescendo silenziosamente ma inesorabilmente. Lo Spirito Santo avrebbe poi fatto il resto.

Quando poi Roncalli fu eletto Papa, non perse tempo e, due giorni dopo, parlò subito di Concilio con monsignor Capovilla e con il suo amico padre Roberto Tucci sj, della Civiltà Cattolica. Mentre il segretario si era mostrato titubante, il gesuita avrebbe detto che il Concilio era necessario, mentre il confessore del Papa suggerì: “Faccia discernimento”.

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E Roncalli di discernimento ne fece parecchio, tanto è vero che parlò del Concilio come di un’“intuizione”. Di fatto, questa intuizione era derivata dalle sue esperienze pastorali, a partire dalle sue nunziature in Bulgaria (1925-1934), dove fu a contatto con gli ortodossi, e quella in Turchia (1934-1944), terra a larga prevalenza musulmana. Da lì nasceva il suo desiderio di cogliere il positivo che c’è nel concetto di sinodalità, in particolare nella chiesa ortodossa, assieme al desiderio di un’apertura nei confronti della teologia e delle varie correnti del pensiero contemporaneo, ovviamente lette alla luce della tradizione.

È tutto questo lavorio di esperienze concrete e di intuizioni spirituali che conducono Roncalli all’“exploit” del 25 gennaio 1959. Alcuni cardinali presenti ne erano rimasti lieti. Altri, più conservatori, pensarono: “Cosa succederà mai?”. Lo stesso Montini, dopo aver sentito l’annuncio del Concilio, disse: “Chissà che vespaio vien fuori”. Avendo lavorato per la Segreteria di Stato, il prelato bresciano conosceva bene la Curia Romana. Coloro che temevano di più il Concilio, erano proprio coloro che non volevano perdere la romanità curiale. Questo era il sensus di quel silenzio eloquentissimo dei cardinali di fronte alla proclamazione di Giovanni XXIII.

LMl

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