Il dibattito è decisamente fuori dai radar da qualche anno. Le statistiche, tuttavia, offrono spunti di riflessione interessanti, prestandosi a un’analisi su più livelli. Stiamo parlando dell’insegnamento della religione cattolica (IRC), una realtà in lento declino, il cui andamento si pone senz’altro in linea con la secolarizzazione del Paese ma in maniera non lineare. Il numero degli studenti che ogni anno scelgono di non frequentare l’ora di religione aumenta ma non tanto quanto sono diminuiti i cattolici praticanti.

I dati relativi all’anno scolastico 2021/22 (fonte Conferenza Episcopale Italiana) riferiscono di una media di frequentanti l’IRC pari all’84,44%. Nel dettaglio, la percentuale è più alta nella scuola dell’infanzia (88,44%), che offre un dato pressoché identico alla scuola primaria (88,21%). Il calo è più marcato alla secondaria di I grado (85,58%) ma soprattutto alla secondaria di II grado (78,30%). Fa riflettere – in positivo – soprattutto il dato alto della scuola dell’infanzia: un segno che le generazioni di genitori più giovani forse non sono poi così secolarizzate. Non è nemmeno da escludere che, nello scenario del devastante crollo demografico attuale, la maggiore prolificità delle famiglie cattoliche possa avere un effetto compensativo.

Se si analizzano, invece, le serie storiche, colpisce (ma non troppo) il fatto che, nel ventennio 1994-2014, il calo sia iniziato soltanto tra il 1995-1996 e abbia coinvolto in modo più sensibile i liceali. Per tutte le classi scolastiche, comunque, non si è trattato di un declino inesorabile: nel 2001, ad esempio, vi fu un momentaneo rialzo (effetto Grande Giubileo?), ripetutosi per ragioni meno facilmente spiegabili nel 2009 e nel 2011. In ogni caso, tra il 2014 e il 2021, il calo è stato intorno al 4,5%: mediamente il -0,6% all’anno. Nello stesso ventennio è calata assai vistosamente la percentuale di insegnanti sacerdoti, religiosi o religiose, passati dal 36,6% ad appena il 10,2%.

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La frequentazione dell’IRC non è affatto omogenea tra le regioni italiane: il Mezzogiorno si conferma meno “secolarizzato”, con il 96,64% degli studenti: un dato che stacca nettamente il Centro (84,33%) ma soprattutto il Nord (78,44%)

Potremmo dire, in definitiva, che l’argomento religioso continua ad interessare, a prescindere dall’appartenenza religiosa o meno. È segno, nonostante tutto, di una disponibilità del Paese al dibattito o, se si preferisce, di una dialettica o di una disponibilità a mettersi in discussione che, probabilmente in altri Paesi non si riscontra. Si pensi a quanto succede, ad esempio, in Spagna, dove – vigente un regime concordatario simile al nostro – gli studenti che non scelgono l’insegnamento della religione sono la maggioranza, per la precisione il 52% contro il 48% che opta per questa possibilità.

Il dato che deve indurre a un cauto ottimismo, tuttavia, è la “lieve crescita complessiva” riscontrata nei già citati dati relativi all’anno scolastico 2021-22. “Si tratta di cifre che ribadiscono il pieno inserimento dell’insegnamento della religione nel quadro delle discipline scolastiche e la sua dichiarata identità educativa e culturale”, si legge in una nota della Conferenza Episcopale Italiana dello scorso 9 gennaio. “Come sempre, da questi numeri – proseguiva la nota – proviene anche un forte invito alla responsabilità perché ciascuno [soprattutto i docenti, ndr], secondo il proprio ruolo, si impegni a rendere l’esperienza quotidiana dell’IRC sempre più all’altezza dei suoi obiettivi e dei suoi compiti, qualificandosi anche come “cantiere” di ascolto delle persone e dei mondi di vitali, nell’ottica del Cammino sinodale a cui si sta dedicando tutta la Chiesa in Italia”.

L’IRC è dunque il grande “oggetto misterioso” della scuola italiana, un potenziale inesplorato, uno strumento preziosissimo nelle mani degli insegnanti, probabilmente sottovalutato dagli insegnanti stessi. La più grande piaga della scuola odierna è la sempre minore attitudine a stimolare domande nei giovani. Quale migliore disciplina dell’IRC, per invertire questa tendenza? L’84,44%, poi, sarebbe davvero un’ottima base per un rilancio. Bisogna, tuttavia, tornare a crederci! L’insegnante di religione non è un catechista e la sua disciplina non è “utile” nel senso comune del termine. Nessuna professione laica è più simile a una missione di questa. Una missione, però, non va mai tradita, né snaturata: è importante che gli insegnanti per primi lo sappiano.

L.Ml.

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